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Come ottenere stampe corrette

I servizi di stampa online delle foto sono ormai diventati uno strumento essenziale per trasferire su carta i nostri ricordi catturati quotidianamente tramite fotocamere digitali o smartphones. Eppure la maggior parte delle foto che scattiamo non viene stampata, perdendosi così nei gigabyte di dati che archiviamo sui nostri dispositivi elettronici. E quando decidiamo di stampare una foto che ci è riuscita particolarmente bene, spesso il risultato ottenuto non risponde alle aspettative: colori sbiaditi, contrasto perso, viraggio errato delle tonalità, ecc.

Perché stampare le proprie foto.

esempio stampa fine art

Da qualche anno ho iniziato ad apprezzare le mie foto su carta stampata professionale, ma da sempre ho cercato di stampare il maggior numero di foto possibile, magari anche quelle riuscite meno bene, perché dopotutto sono pur sempre ricordi che è meglio materializzare per poter vivere appieno l’emozione di rievocarli. È inutile nasconderlo, quando si può fisicamente tenere in mano e guardare una propria foto, le sensazioni di quel momento immortalato tornano a galla e sembra di essere di nuovo lì a guardare dal vivo quella scena: basta prendere una foto scattata prima dell’avvento del digitale per rendersene conto. Ma perché all’epoca si stampava di più? In teoria, grazie al digitale, dovrebbe essere molto più agevole riuscire a stampare le proprie foto.

Le difficoltà di oggi nella stampa fotografica.

sviluppo negativoQuando le uniche opzioni per fotografare erano la scelta del rullino e una buona conoscenza delle tecniche fotografiche di base, la fotografia in sé aveva un significato molto più profondo perché prima del bombardamento visivo che subiamo oggi, l’immagine era un mezzo di comunicazione molto più legato all’espressività del fotografo e al suo messaggio: sia in ambito professionale (eventi, artisti, giornalismo) che privato (sperimentazione, curiosità o semplicemente archiviazione di momenti importanti vissuti). Ma soprattuto, il processo di stampa era un tutt’uno con il concetto stesso di fotografia. Il momento in cui, grazie al digitale, si è stati in grado di vedere la foto subito dopo averla scattata, ha prodotto una separazione sostanziale tra lo scatto e la stampa. Inoltre, nell’apoca dell’analogico, sviluppo e stampa erano affidate a professionisti che tramite procedimenti abbastanza standardizzati riuscivano a produrre risultati costantemente riproducibili e prevedibili, senza sorprese di cattiva riuscita della resa.

Adesso, invece, le infinite possibilità offerte dalle moderne fotocamere e soprattutto dagli smartphones, hanno messo in difficoltà l’utente che voglia stampare le proprie foto. Infatti, se da un lato non valuta la convenienza di avere fisicamente le foto che può guardare sui propri dispositivi, dall’altro rischia di doversi accontentare di risultati approssimativi per via delle scarse conoscenze in ambito di stampa digitale: dopotutto, quello che una volta era affidato a professionisti, ovvero lo sviluppo e la stampa, adesso ci si trova a doverli gestire personalmente nel tentativo di ottenere un prodotto stampato aderente alle aspettative che derivano dal vedere la foto su schermo.

La stampa moderna

Come già detto, sono un po’ di anni che provo diversi servizi online per la stampa digitale: inizialmente la cosa era molto frustrante, perché non conoscendo come funzionava la stampa digitale, i risultati ottenuti erano spesso delle foto completamente diverse da quello che vedevo sul mio computer. Infatti, il primo aspetto da considerare per stampare foto corrette è proprio lo schermo del computer su cui si sta sviluppando la foto.

Il monitor calibrato

spazio colore monitorIn modo molto semplicistico, si può dire che un monitor ha bisogno di essere calibrato come un pianoforte ha bisogno di essere accordato: la calibrazione permette allo schermo di visualizzare correttamente i colori, in modo che siano il più possibile fedeli alla realtà, e riprodurre un contrasto adeguato, per poter vedere l’effettiva luminosità di una foto. Ci sono metodi di calibrazione integrati nella maggior parte dei sistemi operativi attuali (? qui una guida), tuttavia il metodo migliore per calibrare un monitor è quello di servirsi di strumenti appositi che permettono di effettuare una calibrazione molto più accurata: io utilizzo il X-Rite i1 Display Pro.

Ovviamente è importante che il monitor stesso sia di buona qualità, in modo da non dover eseguire troppo spesso la calibrazione (sì, va effettuata periodicamente perché proprio come l’accordatura di un pianoforte, col passare del tempo viene persa): solitamente è sufficiente un monitor con tecnologia IPS LED che permette di avere una migliore resa di colori. Io preferisco monitor con superficie opaca, per non avere i fastidi della luce riflessa sui pannelli lucidi.

Il profilo colore

Dopo aver calibrato il monitor, lo sviluppo digitale della foto può avvenire con la certezza di vedere colori e contrasti effettivi. Ma la superficie di stampa è diversa dallo schermo del computer, per questo prima di produrre il file definitivo da mandare in stampa è necessario poter visualizzare in anteprima come sarà la stampa stessa.

Ormai sempre più servizi online mettono a disposizione i profili colore dei loro prodotti di stampa. Fondamentalmente, ogni accoppiata stampante/superficie di stampa ha una sua peculiare resa di colori e contrasto che dipende da molti fattori: tipo di inchiostro, assorbimento della superficie, tipo di superficie (lucida, opaca), ecc. Quindi è importante tener conto di tutti questi fattori nella visualizzazione della foto sul proprio monitor. Il concetto semplificato è che il profilo colore di una stampa applica tutti questi fattori al file visualizzato a schermo in modo da riprodurre con la massima fedeltà la resa finale.

Un esempio pratico: il fotoquadro

Ultimamente mi sto servendo di Saal Digital per la stampa delle mie foto, per un motivo molto semplice: forniscono i profili colore dei loro prodotti di stampa (oltre ad essere molto rapidi nella consegna). Una volta scaricati e installati sul proprio computer, è possibile visualizzare nel proprio programma di manipolazione di immagini la prova colore del supporto su cui si vuole stampare: questo significa che è possibile effettuare tutte le regolazioni di colore e contrasto potendo vedere effettivamente come sarà la resa finale della foto.

Dopo aver stampato diverse foto su carte fine-art, ho stampato un fotoquadro GalleryPrint con la seguente foto:

Fotoquadro skyline Roma

Le caratteristiche principali sono un forte contrasto e la resa piena dei toni rosso/arancione/giallo. Il fotoquadro GalleryPrint si presta perfettamente a questo tipo di fotografia (la polvere, purtroppo, è una controindicazione del pannello lucido):

Saal dettaglio galleryprint fotoquadro

Ecco come sarebbe stata stampata la foto se non avessi usato il profilo colore di questo prodotto di stampa (in dettaglio):

prova stampa saal digital

Il risultato sarebbe stato molto frustrante: contrasto perso, colori smorti, silhouette di San Pietro rovinata dai dettagli visibili nei neri. Lavorando in prova colore, invece, ho potuto modificare questi valori per poter ottenere la stampa desiderata!

Non scoraggiarsi

Insomma, la fotografia ha come ultimo scopo quello di essere stampata e se l’ostacolo principale al compimento del suo scopo è la cattiva resa delle stampe, con questi piccoli, ma fondamentali accorgimenti è possibile stampare foto corrette perfettamente aderenti alle proprie aspettative: perché una foto non stampata bene è un ricordo sbiadito che si perde nel tempo…

Il modo migliore per scattare foto “dritte”

Sono un po’ di giorni che ti sto mostrando delle foto realizzate con uno specifico obiettivo un po’ particolare: il Samyang 24mm Tilt/Shift.
Oggi ti parlo della sua capacità shift, ovvero la possibilità di far scivolare il piano della lente rispetto al piano del sensore (o della pellicola): un piccolo banco ottico portatile!

Il problema del grandangolo.

Sei in giro a visitare una delle più belle città del mondo: Roma. Hai al collo la tua macchina fotografica (o hai in tasca il tuo smartphone) con il classico obiettivo con focale grandangolare. Ad un certo punto entri nella maestosa chiesa di San Giovanni in Laterano per ammirarne la bellezza e conoscerne la storia e decidi di voler immortalare quella architettura fatta di alternanza di enormi spazi vuoti e possenti colonne e statue, sovrastata dallo splendore dorato del soffitto:
Chiesa di San Giovanni in Laterano, navata centrale. Roma.
Chiesa di San Giovanni in Laterano, navata centrale. Roma.
Inizi a scattare ma ti rendi conto che per quanto ti impegni a far entrare tutta la navata centrale nell’inquadratura, la corta lunghezza focale del tuo obiettivo tende a distorcere le linee verticali delle colonne che si allontanano dal basso verso l’alto. Allora provi ad abbassare un po’ l’obiettivo in modo da raddrizzare quelle colonne, col risultato di avere mezza foto di pavimento e un piccolo pezzo di chiesa lì in fondo.
Eppure non è così che vuoi rendere la perfezione di quella architettura: che fare?!

Raddrizzare le geometrie: elevare la tua prospettiva.

Devi escogitare un modo per ottenere uno scatto fatto bene. Magari puoi provare a ritoccare la foto in modo da stirarla un po’, ma l’effetto finale non è sicuramente quello che ti aspettavi. C’è bisogno di qualcosa di più naturale.
Chiesa di Santa Maria dell'Anima, Roma
Chiesa di Santa Maria dell’Anima, Roma
In realtà, il procedimento corretto per ottenere una foto architettonica geometricamente corretta hai già iniziato a sperimentarlo, inclinando meno la tua fotocamera, pur ottenendo quell’inquadratura con troppo pavimento: ci vorrebbe un modo per elevarti di qualche metro in modo da poter inquadrare meno pavimento e più soffitto. E se invece di elevarti tu, elevassi solo la tua prospettiva? Qui entra in gioco il Samyang Tilt/Shift. In questo caso la funzione tilt la tralasciamo: concentriamoci sulla funzione shift.
Come già detto, con questa funzione è possibile far scivolare il piano della lente rispetto al piano del sensore, ovvero è possibile ottenere proprio quell’effetto di elevazione della prospettiva: infatti facendo slittare verso l’alto la lente, mantenendo in bolla l’obiettivo (quindi con il piano della lente perfettamente verticale), puoi raddrizzare le linee verticali e contemporaneamente spostare l’inquadratura verso il soffitto, in modo da ottenere proprio quella foto che volevi rappresentasse la splendida visione dal vivo!

Conoscere bene i propri mezzi.

Ora che hai capito il funzionamento generale dello slittamento del Samyang 24mm T/S, non ti resta che iniziare a usarlo sempre più spesso, perché pur non essendo una lente particolarmente complessa, c’è comunque bisogno di una certa dimestichezza per poterla sfruttare al meglio:
Santa Maria in Aracoeli, navata centrale. Roma.
Santa Maria in Aracoeli, navata centrale. Roma.
  • ci sono i meccanismi da imparare per ottenere i risultati che ti ho descritto (leve e sblocchi);
  • devi imparare a previsualizzare l’inquadratura finale, quindi ti devi abituare a prevedere l’effetto ottico che puoi ottenere in determinate circostanze (considera che io ho iniziato ad usare questa lente in modo più assiduo dopo averla tenuta un paio di anni a prendere polvere sullo scaffale perché non avevo approfondito bene il suo funzionamento);
  • è una lente senza automatismi, ovvero non ha l’autofocus e il diaframma devi regolarlo manualmente tramite la ghiera sull’obiettivo, ma d’altronde sono i compromessi (più che ragionevoli, considerando che questo tipo di impostazioni manuali sono più semplici da regolare su un grandangolo rispetto a lenti con focali più lunghe) per avere una ottima lente di qualità ad un prezzo che è quasi la metà di qualsiasi altro concorrente di marca.

Come iniziare.

Palazzo Fater. Pescara.
Palazzo Fater. Pescara.
Per abituare l’occhio al tipo di correzione ottica che è in grado di offrire il Samyang 24mm T/S, è necessario considerare questo obiettivo come parte essenziale del tuo corredo fotografico, quindi devi averlo sempre con te perché potrà capitare di dover fotografare (e volerlo fare correttamente) una architettura, molto più di quanto credi. Anzi, dopo un po’ che lo avrai utilizzato ti renderai conto che non potrai farne più a meno!
Ho provato più volte a fotografare il nuovo ponte Flaiano di Pescara semplicemente con il Canon 17-40, ma l’unica foto buona che sono riuscito ad ottenere è stata quella scattata con il Samyang:
Ponte Flaiano Pescara
Ponte Flaiano. Pescara.
A causa dello spazio ristretto intorno al pilone, con un semplice grandangolo non sono mai riuscito ad ottenere delle linee architettoniche corrette: ecco perché non sarei mai stato in grado di ottenere questa foto senza un obiettivo Tilt/Shift.
In questo caso ho provato una combinazione di attrezzature che mi permettesse di arrivare agevolmente nel punto migliore per scattare la foto: un treppiede compatto e leggero, una staffa a L per agganciare rapidamente in verticale la mia Canon 6D al treppiede e, ovviamente, il Samyang 24mm T/S. Se vuoi più informazioni sul mio equipaggiamento per le fotografie di architettura, ecco i link:

Buona luce!

Il clavigero

Le 2.797 chiavi di cui è responsabile non sono chiavi qualsiasi, ma quelle che danno accesso al patrimonio storico-artistico custodito nei Musei Vaticani da più di cinque secoli. Gianni Crea è il coordinatore dei clavigeri (dal latino “colui che ha in consegna le chiavi”) e ogni mattina, alle 5:45, riceve ufficialmente dalla Gendarmeria Vaticana la prima chiave per l’accesso all’atrio dei quattro cancelli: da lì inizia un percorso di oltre un’ora e mezza, lungo il quale il clavigero apre le 500 porte e finestre delle stanze affrescate papali e delle gallerie dei Musei (e dei laboratori collegati).

Finestra Musei Vaticani

Delle quasi tremila chiavi custodite nel bunker, ne vengono quotidianamente impiegate 300: sono tutte numerate, ma il clavigero le conosce a menadito e te le descrive a memoria, una ad una, facendole scorrere lungo l’anello metallico che le tiene insieme.

Le chiavi del clavigero.

Chiavi del clavigero

Le chiavi più antiche e preziose sono tre: la numero 1, che apre il portone monumentale su viale Vaticano, che oggi corrisponde all’uscita dei Musei, ed è uno dei primi accessi ad essere aperti al mattino.

La chiave numero 401, dal peso di mezzo chilo, la più antica: è stata forgiata nel 1700 e apre il portone di ingresso del Museo Pio Clementino, il primo nucleo dei Musei con accesso al pubblico.

E la chiave più importante, che non è numerata: è quella della porta che dà accesso alla Cappella Sistina. Il rituale prevede che la chiave venga prima prelevata dal bunker, dove è l’unica ad essere sigillata in busta chiusa. Con il gesto di apertura della busta sembra quasi che escano i segreti custoditi dalla chiave. Quando senti Gianni raccontare l’emozione che prova ogni volta che con una mano accarezza la porta e con l’altra gira quel pezzo di ferro antico, unico perché non ne esistono copie, dentro la serratura, ti rendi conto della solennità del gesto, semplice ma allo stesso tempo significativo: perché attraverso quella porta, dal 1492, passano i Cardinali per riunirsi nel Conclave che elegge il Successore di Pietro; ed è proprio compito del clavigero, in quanto erede delle chiavi del Maresciallo del Conclave, chiudere e sigillare tutte le stanze della Cappella Sistina in caso di Conclave, per mantenere il segreto di tutto ciò che avviene al suo interno.

Cappella Sistina

Non è, quindi, solamente uno dei luoghi artisticamente più importanti al mondo, con i famosi affreschi michelangioleschi e dei più grandi artisti italiani della seconda metà del Quattrocento, ma anche un ambiente in cui si respira la storia secolare della Chiesa. Parlandone con il clavigero riesci a percepire tutto l’impatto emotivo che prova quando ha il privilegio di schiudere quella porta, per poi attraversare la magnificenza pittorica, storica e religiosa di quell’enorme spazio, al solo suono dei suoi passi sul pavimento marmoreo del XV secolo, ogni volta come fosse la prima.

Il ruolo delle chiavi.

Oggi quei portoni e quei cancelli, con le loro chiavi, fanno ormai parte del patrimonio artistico che custodiscono, in quel processo di musealizzazione che nei secoli ha portato le stesse residenze papali a diventare i Musei Vaticani, ed hanno quindi bisogno essi stessi di un custode: il clavigero.


Ringrazio Gianni per la disponibilità e Matteo per l’accesso ai Musei Vaticani.

Il castello Piccolomini di Capestrano

Ancora in giro per l’Abruzzo, ancora sulla via per il Gran Sasso d’Italia: questa volta l’ospite delle mie foto è il Castello Piccolomini di Capestrano (AQ).

Inutile dilungarsi troppo su questo famoso castello. Sono utili solo un paio di curiosità: deve il suo nome alla famiglia Piccolomini che ha posseduto il castello prima dell’illustre famiglia dei Medici, a rimarcare l’importanze dell’influenza toscana in quest’area dell’Abruzzo. Importanza evidenziata anche dalla cura con cui il castello è stato nei secoli ristrutturato e abbellito: infatti sulla base della fortificazione medievale iniziale, della quale rimane la torre prismatica, è stata aggiunta una dimora signorile quattrocentesca, sede attuale del Comune di Capestrano e della ProLoco del paese.


Per approfondire consiglio questo piccolo documentario:

la pagina del castello su Wikipedia e un interessante articolo su Abruzzando.com.

Santa Maria di Cartignano

Oggi voglio offrirvi uno scorcio di passeggiata domenicale lungo il fiume Tirino, più precisamente a Bussi (PE)

Leggendo qua e là, si può scoprire che la chiesa di Santa Maria di Cartignano ha origini benedettine e viene nominata per la prima volta in un atto di donazione datato 1021 nel quale si fa menzione di una cella di san Benedetto, ossia una piccola chiesa di campagna (appartenente a quell’epoca ai monaci di Montecassino). Nel 1065 la cella divenne un vero monastero e attraversando i secoli, alcuni senza documentazioni che la riguardino, arriva fino alle descrizioni del 1770, epoca in cui era ancora in piedi e presentava

una struttura a tre navi, con due altari laterali, con sacrestia, con una porta grande alla parte di settentrione, con un’altra piccola all’oriente e con rendita di duecento ducati

[atto notarile del 1770].

Lo stato in cui si può osservare oggi la chiesa deriva dalla scoperta, agli inizi del Novecento, di questa chiesa, completamente sommersa dai detriti alluvionali e riportata alla luce da un laborioso intervento di recupero archeologico. L’affresco che decorava l’abside è conservato al Museo Nazionale a L’Aquila.


Per ulteriori e dettagliate informazioni, si possono leggere la scheda su Abruzzo Cultura del sito della Regione Abruzzo, su Mirabilia d’Abruzzo e su Antika.it.

I vespri del Beato Giacomo

Seconda tappa nel paese dove ho passato i primi anni d’infanzia e dove torno sempre piacevolmente per far visita alla mia famiglia materna: Bitetto. Questa volta, complice un brevissimo soggiorno, sono riuscito a ritagliarmi, quasi per caso, una passeggiata di una mezz’oretta nei pressi del santuario del Beato Giacomo. Data la tarda ora, poco dopo il tramonto e la messa vespertina, sono riuscito ad immortalare solo l’interno della chiesa, dovendo, purtroppo, tralasciare il convento annesso.

Sin da bambino sono sempre stato affascinato dalla storia del Beato Giacomo (che potete leggere sul sito ufficiale del santuario) e dallo stato di conservazione della salma, incorrotta dal 1505, che ammiravo stupito ogni volta che venivo accompagnato da mia nonna materna lungo la via del beato fino al santuario, e poi indietro verso casa nel borgo storico, negli assolati pomeriggi estivi pugliesi, con l’odore della terra arsa dal sole che ti scalda le narici.

Ogni anno, il 27 Aprile, si festeggia il beato, in attesa che il processo di canonizzazione (ripresa nel 1986) certifichi i miracoli del frate francescano Giacomo Illirico.


Per ulteriori informazioni sul santuario, sul maestoso altare dorato e sull’imponente organo, potete consultare il dettagliato sito ufficiale.

Presentazione del libro “Piczum Ferratum Sacrum”

Lunedì 8 settembre 2014, nella Chiesa di San Rocco a Pizzoferrato, è stato presentata l’ultima fatica editoriale del mio caro amico e storico dell’arte Luigi Cicchitti. Il libro Piczum Ferratum Sacrum – storia degli edifici di culto di Pizzoferrato è il terzo prodotto della collaborazione tra la sua penna e il mio occhio. Un’opera di non facile realizzazione, ma che come tutte le sfide lascia maggiori soddisfazioni quando alla fine si riesce a gremire una chiesa di fedeli, curiosi e appassionati che per due ore ascoltano le fluenti parole del Vescovo di Sulmona-Valva, S.E. Mons. Angelo Spina (che ha curato anche la prefazione al libro), a sottolineare l’importanza di queste iniziative culturali per il tessuto montano dell’Abruzzo.

Sono intervenuti anche il sindaco di Pizzoferrato, dott. Palmerino Fagnilli, e don Vincenzo Di Pietro, parroco del paese, che hanno fortemente voluto la realizzazione di quest’opera, per cercare di rendere alla portata di tutti nozioni storiografiche e artistiche che finora facevano parte della memoria collettiva del paese e che adesso sono raccolte il un libro che accompagna il lettore nelle varie epoche che hanno caratterizzato lo sviluppo del borgo montano, dall’epoca romana fino al secondo dopoguerra, grazie anche all’ausilio della mia campagna fotografica che illustra i luoghi descritti nel libro.

Ecco un estratto della prefazione del Vescovo:

Con la presente pubblicazione, curata dal dott. Luigi Cicchitti, siamo di fronte ad un lavoro complesso e articolato, per di più inedito per ciò che riguarda l’analisi delle molteplici opere d’arte, che pone i presupposti per ulteriori indagini e riflessioni di carattere culturale e antropologico. […] La lettura del libro “Piczum Ferratum Sacrum”, permette di entrare in un meraviglioso scenario di notizie storiche e di descrizioni che non solo saziano la curiosità, ma portano a cogliere il valore e il significato di luoghi e di realtà ivi presenti. […] Grazie all’Autore, si aprono scenari nuovi di conoscenza su Pizzoferrato, avvalorati da una precisa e scientifica documentazione storica.


Altri riferimenti online che parlano del libro:


Gli altri libri del progetto Abruzzo delle meraviglie →

 

Vetette

Bitetto (Vetette in dialetto barese), un piccolo borgo romanico nella terra degli ulivi secolari. Non avevo mai dedicato molta attenzione a queste anguste vie quando, da piccolo, le percorrevo di corsa per raggiungere il calzolaio, oppure il fruttivendolo o, più semplicemente, casa dei miei nonni materni.

Eppure di maggiori attenzioni necessiterebbe tutto il centro storico, perché pur nella sua fatiscenza odierna, si rimane sempre incantati dal labirinto di vicoli che si snoda tra edicole di santi, archi di mattone e piazzette dove si radunano le comari in preghiera o per spettegolare.

San Giovanni sospeso nel tempo

Una delle tante piccole meraviglie dall’Abruzzo, l’Abbazia di San Giovanni in Venere è un luogo senza tempo, sospeso tra gli ulivi che sovrastano la costa adriatica in provincia di Chieti.

Visitarla la domenica mattina appena dopo l’alba permette di sentire il profumo della brezza marina che passa attraverso gli ulivi secolari fino ad arrivare quasi a spingere il suono delle campane che annunciano l’inizio delle liturgie mattutine, richiamando alla spicciolata quei pochi fedeli che vogliono ammirare la maestosità dell’abbazia subito dopo l’alba…

Per maggiori informazioni c’è il sito www.sangiovanninvenere.it

 

BlueGrassGym

Piccolo esperimento musicale, in un uggioso pomeriggio al parco Ex caserma Di Cocco: un banjo, un mandolino, un po’ di chitarre e tanto BlueGrass. Rigorosamente acustico, live e in presa diretta!

Dasein

Una delle cose più gratificanti del mestiere di fotografo è quella di avere la possibilità di entrare in contatto con un sacco di gente che, chi più chi meno, con la propria sensibilità, riesce a lasciare un segno nel percorso di crescita artistica che si intraprende quando si cerca di affiancare il piacere della fotografia all’intraprendenza della rappresentazione.

Tra questa gente si nasconde il mio caro amico (e architetto) Amerigo Mariotti, gallerista a Bologna, ma abruzzese di nascita: in occasione dell’inaugurazione della nuova sede della galleria Adiacenze sono stato piacevolmente precettato per la mostra personale di arte contemporanea Dasein, dell’artista Marco La Rosa.

Non pretendo di descrivere la poliedrica arte di Marco a parole, cerco di farlo con qualche scatto. Lascio qui solo una indicazione, come da invito:

il lavoro di La Rosa non si limita al piacere visivo dato dalla perfezione delle linee e dalla pulizia delle opere, ma supera l’estetica per cercare di trasmettere nuovi significati del mondo.

IronMan 70.3 Italy

In occasione della prima edizione dell’IronMan Italy 70.3 ho avuto la fortuna di partecipare all’evento, non come atleta, ovviamente, ma come fotografo grazie alla dritta di alcuni amici fotografi (Alberto, Stefano, Luca e Mario), miei compagni d’avventura durante il reportage fotografico della manifestazione. Dopo essere riuscito ad avere un pass da fotografo, ho potuto bighellonare nelle aree ad accesso limitato per poter fotografare da vicino i tri-atleti, rimanendo affascinato dalla loro tensione agonistica e voglia di partecipare a questa festa, indipendentemente dall’essere professionisti o semplici appassionati di triathlon. Lo scopo del gioco, all’epoca, era quello di allenarsi nella fotografia sportiva, ambito in cui non mi ero mai cimentato prima di allora: il risultato è quello che si vede in queste foto, attraverso le quali ho provato comunque a trasmettere, col mio stile, le sensazioni degli atleti e l’aria di festa che si respirava in quel weekend molto particolare per tutta la città di Pescara, data la rilevanza internazionale dell’evento. E forse a qualcuno sono riuscito a comunicare qualcosa, se dopo qualche mese sono stato contattato dalla sede americana della XTERRA (fornitore di attrezzature ed equipaggiamenti sportivi per triatleti) per l’acquisto di una mia foto da loro utilizzata in una campagna promozionale per Daniel Fontana (il vincitore di quella edizione).

Tralasciando i rapporti, poi logoratisi, con il comitato organizzativo dell’IronMan Italia, ho avuto anche l’onore, l’anno successivo in occasione della seconda edizione dell’evento sportivo, di vedere tappezzata tutta l’area stampa con le mie foto in bianco e nero: a rimarcare, purtroppo, la differenza di come vengano presi in considerazione i diritti d’autore in Italia e all’estero. Ma questa è un’altra storia…